Come nasce la milonga

La storia vera della milonga
Prima della milonga non c’erano sale da ballo.
Non c’erano scuole.
Non c’erano corsi, orari, iscrizioni.
C’era la vita.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Buenos Aires esplode di esseri umani:
italiani, spagnoli, francesi, africani liberati, criollos, gauchos senza terra.
Uomini soli, donne sole, famiglie sradicate, gente che non parla la stessa lingua ma condivide la stessa fame di futuro.
Non esistevano social, telefoni, televisioni.
L’unico modo per incontrare qualcuno era uscire di casa.
Ma non ci si poteva riunire ovunque.
Le autorità controllavano, la morale sorvegliava, i ricchi disprezzavano.
Così la gente inventò i suoi luoghi.
Nacquero i peringundines:
retro botteghe, fondaci, magazzini, taverne improvvisate.
Luoghi semi-clandestini dove si beveva, si parlava, si suonava, si ballava.
Lì dentro non c’erano maestri.
Non c’erano coreografie.
Non c’erano figure.
C’erano corpi stanchi che cercavano altri corpi.
C’era il bisogno umano più antico del mondo:
sentirsi vivi insieme.
Il tango nasce lì.
Non per lo sguardo, ma per il cuore.
Non per lo spettacolo, ma per la relazione.
Non per mostrarsi, ma per sopravvivere.
La milonga non è il primo luogo dove si balla:
la milonga è il primo luogo dove una comunità trova finalmente il coraggio di mostrarsi in pubblico,
dopo anni di abbracci nascosti.
Per questo la milonga non è una pista.
È una dichiarazione.
Dichiara che siamo fatti per incontrarci.
Che nessun algoritmo potrà sostituire un abbraccio.
Che nessuna figura vale più di una persona.
E chi entra in milonga oggi,
senza saperlo,
cammina dentro quella stessa storia.
Fattiditango
Il tango naturale